Amico è,  Lavoro sporco,  Portineria

LE CRONACHE DEL MAGAZZINO 4° Volume – Chiusura

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“Ragazzo vorrei delle scarpe per la mia bambina”
“Che colore?”
“Non lo so, guardando mia figlia cosa le ispira?”
“Vacchetta invecchiata?”
“Come osi maleducato!”

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Il mio capo o, come lei arcaicamente amava definirsi, padrone ha circa 34 anni più di me.
I primi tempi in cui lavoravo c’era fra di noi una lotta continua su come si dovessero servire i clienti, su quali scarpe bisognasse proporre e su che atteggiamento assumere in negozio.
Eravamo il vecchio e il nuovo, il classico e il moderno e ahimè la lombarda e il “terrone”.
Era talmente temuta dai miei colleghi che appena appariva tutti assumevamo la posizione del cane da caccia: gamba alzata, sguardo puntato verso il cliente e straccetto in mano per sembrare che stessero facendo qualcosa.
Mentre io cercavo di fidelizzare il cliente, a volte insultandolo, il mio comandante lo tediava a tal punto che per asfissia comprava pur di liberarsi da quella morsa.
Risultato: Lei riusciva a vendere anche la merda secca mentre io ottenevo il classico “ci penso”.
Doveva nascondere qualche ipnotico nell’alito perchè riusciva a piazzare anche queste cesse di scarpe.

Mephisto
Per Dio neanche il Mullah Omar le indosserebbe.

“Ragazzo come mi stanno queste infradito di pelle?”
“Lei è gay?”
“No!”
“E’ un contadino?”
“No!”
“E allora perchè le compra?”

Sta di fatto che dalla mia parte avevo la simpatia dei clienti.
Tutti mi cercavano perchè raccontavo barzellette sporche, sapevo consigliare, dicevo sempre la verità e ogni tanto sussuravo:

“Guardi il suo numero non ce l’ho, però se va al FootLocker magari le trova…mi raccomando io non le ho detto niente!”

negozio vuoto

“Scusi ragazzo queste scarpe sono sporchive?”
“No lascivie!”
“Avete per caso in cantina i Fratelli Rossetti?”
“E’ arrivata tardi li abbiamo giustiziati ieri!”

Non potevo sempre essere serio, bisognava portare un po’ di freschezza in quel clima stantio e di terrore.
Così capitava spesso che facessi agguati dietro al magazzino per far spaventare le mie colleghe o magari che le spiassi mentre cercavano una scarpa.
Stella non aveva mai voglia di prendere la scala e quindi faceva finta che il prodotto non ci fosse. Oppure ridevo sotto i baffi quando la vedevo infilarsi le dita nel naso o grattarsi il culo.
Sapevo che indossava delle mutande di qualità pessima, ma non che le provocassero prurito intimo.
Il capo supremo ci trattava come se fossimo i suoi figli, però ritardati. Non ci ha mai dato l’opportunità di essere indipendenti o di prendere decisioni.
Tutti cercavano la sua approvazione, criticavano le sue scelte, ma lei imperterrita non ci dava spazio.
Per anni mi sono scontrato con i suoi metodi pur sapendo che avrei perso su tutti i fronti. L’ultima risposta era la sua “O è così o quella è la porta”.

negozio vuoto
Verso Natale il negozio diventava frenetico. La vetrina si riempiva di lucette e delle tamarrate più raccapriccianti.
C’era il Babbo Natale che si arrampicava su sta cippa, l’ombrello che raccoglieva la neve di polistirolo che scendeva dal pupazzo che suonava Jingle Bells Rock, pinguini malati di cartapesta e quelle maledette palline rosse che tutti i clienti rubavano! Zingari!
Cercavo anche di essere carino e di tenere compatto il gruppo. Ogni 24 dicembre alle 19:20, dopo che Stella aveva fatto la sua pisciatina, facevo trovare davanti ai loro armadietti un presentino con un bigliettino.
Per il mio capo un regalo speciale e ogni volta riuscivo a farla commuovere, perchè nonostante pensassi che fosse una stronza so che aveva tanto da insegnarmi.
Anche l’8 marzo aveva la sua mimosa per loro:

“Gabry perchè a me non le hai regalate?”
“Pinella scusa!!! Ho scoperto solo quest’anno che sei una donna!”

E Carnevale il suo scherzo.
Di solito chiamavamo con il cellulare e aspettavamo che rispondesse qualcuno.

“Scusi avete le scarpe Hogan?”

E Stella, che se ne sbatteva la minchia di lavorare, rispondeva un secco no e chiudeva la comunicazione.
Mentre il boss iniziava ad elencarci tutte le marche del negozio facendoci spendere centinaia di euro di ricarica.

“Scusi ma noi cercavamo le Hogan”
“Ma abbiamo le Geox…sono uguali e poi respirano”
“Ma non dica cazzate!”

Quante risate dietro gli scaffali.
Come quella volta che ho ricoperto la tazza del water delle ragazze con la pellicola trasparente, quando mischiavo le chiavi delle auto, facevo sparire la carta-igienica o trasmettevo annunci fasulli all’alto parlante.

negozio vuoto

“Scusi potrei provare a provare?”
“Signora è uno sciogli-lingua?”
“Mi scusi sono emozionata finalmente ho trovato le inimitabili e autentiche Barchestoc!”
“Vuole una calza di spunga per sentirsi tedesca in vacanza?”
“Come stanno a freschezza queste Barkingstoc”
“Signora si chiamano Birkenstock…quanto a freschezza le provi con delle zucchine, però tagliate a julienne!”

Con gli anni ho visto ringiovanire tutti quanti, ero convinto che la mia presenza facesse bene alla condizione lavorativa, ma siccome non succedeva mai niente tutte si sentivano frustrate e sempre sotto assedio.
Che cazzo mai una rapina a mano armata o un cliente che moriva d’ infarto in camerino.
Solo una volta un bambino ha vomitato per terra e un cane evacuato su un giubbotto!
Fu festa nazionale!
Avevo parlato troppo presto.
Il proprietario, dopo sei anni dal mio arrivo, aveva deciso di cambiare la direzione.
Per la prima volta ho visto il mio capo piangere e solo in quel momento ho capito che per anni avevo cercato di cambiarla e che invece a cambiare dovevo essere io.
Continuava a ripeterci che nessuno sarebbe stato alla sua altezza e nonostante io ci provassi sapevo che non avrei mai raggiunto il suo status di onnipotenza.
Fu allora che decisi che con quel negozio non avevo più niente a che fare.
Volevo un cambiamento, ma lo temevo come un bambino impaurito.
Così comprai il sospirato biglietto per il Giappone, perché quello era il mio desiderio più grande, mica servire modaioli cripto zarroni e vecchie belarde tutta la vita.
La lusinga più grande della mia carriera mi arrivò il giorno che il  capo se ne andò.
Il figlio dell’ eccelso assoluto megagalattico proprietario mi offrì la direzione.

“Vuoi seguirlo tu questo posto?”
“Posto? Veramente è il tuo negozio”
“Ti do 1300 Euro al mese”
“Uno stipendio da re…Stella prende 1500!”
“Facciamo che ti do dei benefit”
“No, preferisco andare in Giappone”
“Ti do l’oppurtunità di licenziare tre commesse che ti stanno sulle palle”
“Ma sei scemo?”
“Ti ridò anche i soldi del biglietto dell’aereo”

Così mi ritrovai con in mano un coltello e un’opportunità, potevo scegliere la strada facile o seguire il mio sogno. Rimanere con i piedi per terra o liberarmi di quel lavoro che in fondo non avevo mai amato.
Provai tristezza e dopo aver rifiutato non trovai più pace.
Le mie colleghe furono messe allo sbando, senza un direttore persero la vela maestra e il negozio diventò una specie di striscia di Gaza.
Governava l’anarchia.
Avrei voluto salvarle, dire loro cosa avevo imparato, ma non essendo più all’interno non riconoscevo più le loro dinamiche.
Quando mi dissero che avrebbero chiuso iniziai a cercare dei compratori, ma il mio desiderio non poteva alimentare un miracolo così grande.
Durante la liquidazione sono tornato qualche giorno a lavorare, prendendomi una settimana di ferie dal mio nuovo impiego.
Mi sembrava di aver perso la memoria, di aver mancato di coraggio verso di loro.
La cosa che mi spaventava di più era di non avere un ricordo di quel negozio. Mia madre ha le vecchie chiavi del suo centro estetico, mio padre la sua prima macchina da scrivere, mentre io nulla.
Prima di partire per Tokyo il mio capo mi aveva lasciato un biglietto, che per me voleva dire tutta la sua stima e la sua approvazione.
Questo è l’unico ricordo fisico che conservo di quel periodo, tutto il resto l’ho scritto in questo blog!

“Spero tu possa trovare quello che stai cercando”

Non l’ho ancora trovato

Il Portinaio

“Scusa ragazzo ma state chiudendo?”
“Sì purtroppo”
“Sai se c’è ancora quel ragazzo ricciolino che mi faceva tanto ridere?”
“No, è partito per il Giappone”
“Sai che un po’ gli assomigli”
“Lo so…me lo dicono tutti!”

A Daniela.  In fondo non me ne sono mai andato.

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