IL PORTINAIO X LADIES & gents (e il lungo viaggio dei Sakura)
La mia amica Cristina mi ha dato l’opportunità di scrivere per Ladies & gents l’allegato di Milano Finanza, senza sapere a cosa sarebbe potuta andare incontro.
“Mi raccomando niente parolacce o allussioni sessuali”
“Neanche un pettegolezzo sulla mia famiglia?”
“Nulla…”
“Mia zia ha abbandonato il suo amante perchè…”
“Non voglio saperlo!!!!”
Scusate il ritardo con cui pubblico la notizia, ma fra trasloco, viaggi inaspettati e quegli stronzi di Fastweb che è un mese che mi fanno navigare a 54 k cara grazia che sono riuscito a leggere le mail.
Ma tranquilli tornerò presto con la fibra! Mi hanno detto che arriveranno il 9 Aprile a montarmi il modem nuovo, per adesso mi devo accontentare della crusca. Poi giuro che vado con degli elefanti imbottiti di lassativi davanti alla loro sede!
Detto questo qui sotto potete leggere la lunghissimissima versione uncut dell’articolo.
Un ringraziamento alla redazione per la fiducia.
Ora mettetevi comodi, fatevi un viaggio insieme ai sakura e gustatevi il bellissimo trailer alla fine del post.
Buona lettura!
Il Portinaio
Ogni volta che andavo a trovare mia zio c’era il solito rituale. Un abbraccio sulla porta e poi la solita domanda “Indovina cosa ti abbiamo fatto?”.
Così correvo velocissimo sulle scale, perché sapevo che in cucina c’era ad aspettarmi la mousse al cioccolato.
Ma prima di infilare la testa nel frigorifero, mi fermavo sulla porta a guardare due quadri che raffiguravano una Geisha e un Samurai. Riproduzioni di stampe antiche di un certo Hokusai.
“Lo conosci?”
Così lo zio mi raccontava dei suoi lunghi viaggi in Giappone, ma io volevo solo capire il perché lei non sorridesse e se il Samurai era buono o cattivo.
Ogni volta mi fermavo. Guardavo. Pensavo.
“Se vuoi un giorno saranno tuoi”
Mio zio doveva essersene accorto che mi piacevano.
E’ lungo il viaggio per il Giappone. E’ lungo prepararlo, spaventano la lingua e gli ideogrammi.
Ci ho messo un po’ di anni prima di comprare il biglietto, perché volevo imparare almeno a dire “Come stai?” “Dov’è il bagno?” e “Per piacere mi passi lo stuzzicadenti?”.
Portatevi un carico di gentilezza e nulla più. Certo anche un paio di scarpe comode e una giacca a vento, prendete il menù giapponese sull’aereo e aspettate di atterrare.
Il Giappone è un’esperienza personale, nessun consiglio, tranne uno. Scegliete la primavera e il periodo dei Sakura.
I ciliegi in fiore sono un evento che trasforma il paese. Magari poco prima di partire leggete “Autostop con Buddha” di Will Ferguson (questo è un consiglio) un libro divertente e malinconico su un uomo che insegue la fioritura dei ciliegi.
Avrete molti modi per dormire. In un qualsiasi hotel, nei più caratteristici Ryokan o se siete fortunati a casa di un amico, ma cercate di stare svegli perché in Giappone il tempo si allunga e non concede riposo.
Partite dal cuore della città. Anzi no! Partite da quello che io considero il cuore: il triangolo Shibuya – Omotesando – Harajuku.
E’ l’ostentazione di luci e suoni, centri commerciali e negozi. Se volete frullarvi per bene avete scelto il posto giusto.
Mettetevi di fronte alla statua del cane Hachiko, fategli la solita foto per dimostrare che siete veramente in Giappone poi guardate alla vostra destra, puntate il dito e attraversate di fretta l’incrocio più famoso di Tokyo.
Andate dritto lasciandovi alla vostra destra il Q Front, lo schermo gigante che passa pubblicità e previsioni meteo. Vi prometto che troverete un bellissimo negozio di cappelli, scarpe di ogni forma, il grande magazzino Parco, un’infinità di sale giochi, ristoranti di sushi elettronici, karaoke ai piani alti dei palazzi, il futuristico negozio di abbigliamento Ape e persino di un monomarca italiano di calzatura, che ti farà sentire un pochino a casa.
Poi perdetevi fra profumi di zuppa di ramen e jingle pubblicitari.
Non c’è scampo al consumismo.
Tenete a freno le carte di credito perché il gioco è appena iniziato.
Omotesando è una delle zone più trendy. E’ il perno fra la chiassosa Shibuya e la colorata Harajuku.
Non a caso puoi trovarci ragazze tinte e alla moda senza un minimo senso dell’accostamento cromatico o lolite con parrucche rosa che mangiano dolcetti colorati pieni di conservanti.
Qui non c’è giudizio estetico. Vige la legge: “Fai come vuoi”.
Per questo bisogna spingersi oltre.
Secondo le estimatrici del Kawaii (che significa carino) le dieci cose da fare ad Harajuku sono:
1) Mangiare un pan cakes
2) Fotografarsi in un Purikura, le macchinette fototessere che ti spianano le rughe
3) Fare interminabili code per una crepes
4) Bere del the verde da Ra.a.g.f. Harajuku, il bar con i coniglietti, senza chiedersi un perchè
5) Fare shopping a Takeshita Dori, la via più colorata al mondo
6) Sperperare denaro ai Magazzini La Foret
7) Comprare un orecchino a forma di unicorno da 6% Dokidoki
8) Tornare bambini da Kiddyland
9) Acquistare almeno un paio di calze colorate
10) Visitare il Design Festa
E se quest’ultimo è l’avanposto degli artisti indipendenti giapponesi dall’altra parte del quartiere troverete un po’ di pace.
E’ proprio dietro la stazione di Harajuku che c’è uno dei templi più noti di Tokyo: il Meiji-Jingūmae.
Dove se hai fortuna riesci a vedere un matrimonio shintoista.
Immerso in un bosco secolare le vostre orecchie ringrazieranno.
Datevi pace prima di ritornare a guardare le vetrine.
Magari comprate un Ema, le tavolette di legno che si appendono al tempio, scriveteci un pensiero o un desiderio e sperate che il Kami, lo spirito, lo legga. E’ un modo per avvicinarsi ad un’altra cultura, un gesto spirituale, un guardarsi dentro.
Se non vi siete ancora persi e se il tempo lo permette correte al parco Yoyogi che non è molto distante.
Qui potrete ammirare i Sakura, che sono poi sparsi ovunque, ma nei parchi rendono ancora di più.
Abituatevi al rosa, perché fra Marzo e Aprile il Giappone preferisce questa tonalità.
Comprate due polpette di riso in qualche Kombini Market e una bibita da un distributore automatico, bastano pochi Yen per fare un po’ di Hanami, letteralmente “ammirare i fiori”.
E cambia la prospettiva sotto un ciliegio. Se tutto prima sembrava sintetico e fluorescente, improvvisamente diventa una malinconia color pastello.
E’ la cosa più romantica al mondo, più di Parigi, più di un tramonto su una spiaggia.
C’è un cartone animato che racconta la storia di due persone che non si dimenticano nonostante la distanza, s’intitola Cinque centimentri al secondo, ovvero la velocità con cui i petali di ciliegio cadono al suolo.
Cosa pensereste sotto una pioggia di petali? Chi vorreste con voi?
E’ usanza dei giapponesi portarci i colleghi di lavoro, ubriacarsi fino a stare male e dimenticare tutto il giorno dopo.
Ma se per caso in tasca avete due monetine da 100 Yen allora spostatevi al Shinjuku Gyoen National Garden.
Un piccolo obulo per ammirare altri immensi Sakura e per ricordarvi di essere romantici.
Non so quale sia il motivo per cui i giapponesi si sono meritati tanta bellezza, spesso li vedevo seduti e silenziosi.
Ho provato ad imitarli e ho ascoltato i corvi e le cicale “parlarsi” uno sopra l’altro, il rumore di un treno o di un passaggio a livello.
Tutti i suoni improvvisamente sono diventati famigliari. Ricordano l’infanzia. Ti senti protetto e vulnerabile, come un bambino. Leggero come un disegno.
Il Giappone è bravo a mischiare il reale con la fantasia, di farti sentire estraneo e amato allo stesso tempo. I ciliegi in fiore testimoniano tutto questo. Il tempo li ha resi eterni e sfuggenti. E quando credi di aver compreso la loro bellezza i petali si arricciano nella mano e svaniscono.
E’ tempo di cenare.
Ritorniamo da dove eravamo partiti. Accarezzate di nuovo la testa del cane Hachiko.
Mettete la mano sinistra sul suo naso. Guardatevi il mignolo e noterete che alla sua sinistra c’è una scala mobile sotto la scritta del centro commerciale Shibuya Mark City.
(Mi sto contraddicendo, questo è un consiglio) Al terzo piano fanno uno dei sushi più buoni che abbia mai provato. Valgono 40 minuti d’attesa. Fate amicizia con altri stranieri e chiacchierate con i maestri di sushi, che conoscono i saluti in tutte le lingue.
Mi raccomando non mollate il colpo e soprattutto il polpo!
A Ueno troverete uno dei parchi più grandi di Tokyo. Noto per i suoi musei, ma soprattutto per il suo “tetto” di Sakura.
Qui l’Hanami è qualcosa che assomiglia ha un fiera del bestiame, dimenticatevi picnic romantici e occhi a forma di cuore. La classe media giapponese si riversa sotto gli alberi alle ore serali per ubriacarsi e festeggiare e la televisione è pronta a riprendere tutto per il suo servizio annuale sulla fioritura.
Perché il Giappone per qualche giorno si piega al volere di Madre Natura. Le previsioni del tempo diventano previsioni di fioritura, alcuni piatti acquisiscono come ingrediente il petalo rosa, i giornali fanno a gara per pubblicare gli alberi più maestosi e i pittori hanno pochissimo tempo per farsi ispirare.
Il tempio Hanazono Jinja nell’intricato quartiere di Shinjuku è una sorpresa per gli occhi.
Fuori il caos dentro la poesia. Lo spirito del silenzio sembra abitare tutti i luoghi di culto religioso giapponesi. Il rosso fuoco stride in contrasto al rosa. I monaci aspettano un’offerta al banchetto dei souvenir e tutti rispettano le regole che seguono da millenni.
E’ un paese fortunato quello dove la società è devota all’educazione civile? Rispondo di sì.
Tutto funziona come deve. In Giappone non avrete niente fuori posto se non guarderete oltre all’apparenza, se non sarà un terremoto a far tremare le loro virtù.
Tokyo è una città che parla. Quindi domandate. Siate curiosi.
Io sono finito per caso in una milonga di tango a Ebisu, il quartiere della birra.
Fra dondolanti Salary men ho visto meticolosi ballerini eseguire ganci e ocho adelante perfetti.
Sono stato accolto come un ospite d’onore nonostante non sapessi neanche un passo di danza.
Sono pignoli in Giappone. L’errore non è concesso. Pena il ripudio.
Non abbiate paura di accorgervi anche della miseria, che qui è ordinata e nascosta. I clochard appaiono di notte come spiriti e spariscono al mattino, per non guastare la vista.
Kiyosumi-shirakawa non è uno scioglilingua, ma la fermata della metro del Museo d’arte Contemporanea. Un’opera architettonica moderna che contiene più di 4000 opere.
Qui ho conosciuto un’artista giapponese che mi ha domandato se avevo già visitato il Tsukiji Market, il mercato del pesce.
Ho risposto semplicemente “No, non ancora”.
Ha sorriso. Poi mi ha mostrato i suoi dipinti che s’ispiravano a quel posto. Per lui non è altro che un luogo di lavoro trasformato in un mattatoio per turisti. E’ meglio guardare un quadro che è un granchio morire. Mi ha detto così.
Ho ascoltato il suo consiglio.
Forse anche perché mi diverte uscire dalle pagine delle guide per trovare una Tokyo di dimensioni più piccole.
Perdonate il mio itinerario illogico, ma qui è così.
In strade dove non hanno nomi il percorso lo decidi tu. Ti salveranno le mappe e l’aiuto di qualche cortese cittadino. Ma non disperate, mal che vada un taxy vi riporterà a casa. Che è un’esperienza anche quella. Provate a prenderli, sembrano usciti da un film anni sessanta.
Se dovessi scegliere una zona dove abitare non avrei dubbi: Tomigaya. Un quartiere che sembra un paesino naif di villette e piccoli artigiani.
C’è un negozio di caramelle che assomiglia a una pizzeria, dove abili impastatori creano piccoli bon bon a forma di frutta modellando lunghissimi e densi zuccheri colorati.
Le librerie di design sono aperte fino a notte, i cappellai sono matti e le boutique ricordano quelle del lungo mare di Rimini.
Poi al tramonto altre saracinesche si alzano. Piccoli locali da 6 coperti offrono buon vino con vista su vivai di piante curatissime, le boulangerie francesi scontano il pane di fine giornata e le gastronomie preparano il piatto del giorno per quelli che tornano esausti dal lavoro.
Se volete la fermata è Yoyogi Hachiman.
Alla fine del quartiere vi ritroverete a Shibuya di nuovo vicino alla statua del cane Hachiko.
Ve l’avevo detto che era illogico.
Se vi spostate nella zona est di Tokyo state pure tranquilli non troverete altre statue di animali devoti al loro padrone, ma robot giganti e riproduzioni di piazze italiane.
Siete a Odaiba l’isola artificiale. Un luogo dove potete trovare tutto. Una città nella città, Sorvegliata dal gigante Gundam e decorata con una ruota panoramica e complessi fieristici, Odaiba è un esperimento da visitare. State tranquilli anche qui crescono i ciliegi. E’ una guerra fredda fra Skyline e boccioli.
Perché il Giappone non dimentica le sue radici. Se costruisce qualcosa lo contamina con la sua storia.
Come nel quartiere Ginza, dove il vento soffia fortissimo fra i suoi grattacieli della moda e porta con se petali e profumi. Dove i ristoranti trasandati sotto la ferrovia stonano con il vicino palazzo di vetro cemento di Hermes. Passato e futuro. Lo trovi ovunque.
Ma Tokyo non basta, puoi usarla come base per andare ovunque.
Scegli Kyoto come prossima meta. Tappa obbligata.
Il treno partirà in perfetto orario. Cercate di arrivare un po’ prima per vedere la danza dello Shinkansen. Donne in abiti rosa si muoveranno sincronizzate per pulirlo.
Provate un the al mais dalle mille macchinette e cercate nella stazione di Tokyo il negozio di Rascal, il procione protagonista dell’omonimo cartone animato.
Il Monte Fuji vi apparirà maestoso durante il viaggio, per poi sparire dopo qualche minuto.
Ricordatevi di lui, perché è un simbolo.
Hai mai visto un palazzo tutto d’oro?
Kyoto avrà il piacere di mostrartelo.
La chiamano la perla d’oriente, ma forse è qualcosa di più raro.
Camminate piano per la città per scoprire piccoli tempietti e negozi artigianali di ceramiche e piattini. Perdetevi fra le migliaia di texture dei Furoshiki, le stoffe giapponesi che servono per avvolgere oggetti, scegliete quello che più vi piace ed entrate verso il tramonto nel quartiere Gyon.
E’ qui che all’imbrunire escono le geishe dalle loro “case”.
I turisti lo sanno benissimo e si aggirano molesti con le loro macchine fotografiche.
A me è capitato di incrociarne una. Eravamo solo io e lei.
Il suo sguardo bianco mi ha sfiorato per un attimo. Non l’ho disturbata e l’ho lasciata scomparire dietro uno dei tanti locali del quartiere.
Sono maestre d’arte che custodiscono l’ennesima visione romantica che ho del Giappone.
Kyoto è chiamata la città dei mille templi. Tra i più famosi c’è Kinkaku ji, il tempio d’oro e il Kyomizu dera, quello dell’acqua.
Ma di sera è lo Yasaka Shrine che attira ragazzini pronti a festeggiare sotto i Sakura.
Qui immensi alberi di ciliegio vengono illuminati. Sembrano bruciare in contrasto con il buio. Le bancarelle vendono prodotti tipici, dai bollenti takoyaki (polpette di polipo) a caramelle di ogni tipo, dagli spiedini yakitori a maschere dei cartoni animati.
E’ un momento unico, da incorniciare in un pensiero. Fosco Maraini descriveva questi eventi nel suo libro “Ore Giapponesi” come feste che si tramutano in sogno.
La gente “è una folla lenta, gaia, noncurante, ubriaca di bellezza”.
E’ vero.
Ti senti meno alieno e vorresti vivere sulle sponde del fiume Kamo, guardare solamente le persone camminare e aspettare la prossima primavera.
Ma siccome il Giappone è grande non possiamo fermarci.
Nel giro illogico del petalo di Sakura fatevi trasportare nella vicina Nara.
La magnificenza di questa città è data dai suoi abitanti, curiosi e chiacchieroni, ma soprattutto dalla presenza di cerbiatti per strada.
Non è un problema di randagismo, è la natura che vive in simbiosi con la civiltà.
Camminate con loro fino al tempio Tōdai-ji, girate nel parco e non spaventatevi quando li vedrete sbucare dai cespugli. Cercheranno cibo o chissà, magari solo una carezza.
Un po’ di ramen piccante per riscaldarsi il corpo e poi un altro ciliegio da guardare, che sarà sicuramente appena fiorito. Perché i Sakura sono come una scia e formano una schiena su tutto il Giappone.
Partono da Sud, a Fukuoka, per arrivare due giorni dopo a Hiroshima, sospirano davanti al Museo della Bomba Nucleare e rifioriscono l’indomani a Nagoya. Cadono nelle terme all’aperto e riempiono i pochi buchi sull’asfalto. Si mettono in posa al tempio Senso –Ji ad Asakusa e risalgono la costa fino a Sendai. L’ultima città a vedere i ciliegi è Sapporo, nell’isola di Hokkaido.
Il fiore ha fatto il suo percorso ed è tempo di rientrare a Tokyo.
Concedetevi l’ultimo sguardo alla città, magari mandate i vostri figli ad Akihabara, il quartiere elettronico e dei fumetti, e scoprite Shimokitazawa, zona bohemienne popolata da buffi dandy giapponesi.
Sorseggiate l’Umeshu e guardate i ciliegi mescolarsi fra negozi dell’usato, musica dal vivo e casette piccolissime.
Proprio qui avevo notato la scritta sul muro “Tokyo is yours”.
Mio zio mi aveva promesso i suoi quadri, ma inconsciamente mi aveva regalato qualcosa di più grande.
Ecco.
Perché è questa la sensazione, che il Giappone sia anche un po’ tuo.