E TU COME STAI?
I supermercati giapponesi sono un piccolo paradiso colorato. Sembrano delle stalle dei Mio Mini Pony.
Il cibo da asporto sembra cucinato per un chihuahua, le etichette sono chiassose e colorate e i biscotti assomigliano a crocchine per gatti.
Ci sono un sacco di pupazzetti, mascotte e adorabili cassiere che ripongono gli acquisti in un cestino che poi la casalinga deve prendere e portare su un tavolo per imbustarlo con calma.
Sul tavolo c’è anche un sapone disinfettante e una spugnetta per inumidire il dito nel caso il cliente non riuscisse ad aprire il sacchetto di plastica.
In questo silenzioso regno arcobaleno puoi udire il mio amico Marco e l’altra nostra compare urlare come delle vaiasse.
“Volete stare zitti!!!!”
“Dov’è il wasabi?”
“E come faccio a saperlo?”
“Sei tu la nostra guida”
“Allora fate così, domani mettete qui uno stand con delle caciotte e urlate per una ragione”
Anche i giapponesi gridano.
Lo fanno fuori dai locali per attirare l’attenzione dei maschi alfa che si avventano nel lussurioso quartiere Kabukichō.
Lo fanno fuori dai negozi per incuriosire timide donne che non sanno se comprare una lametta per i peli superflui o una pacchetto di fazzoletti.
Ho visto un giapponese gridare a un camionista che aveva osato fermarsi con una ruota sulle strisce pedonali, ne ho visto un altro alzare la voce per chiamare i suoi amici ubriachi fradici appesi a un semaforo. Sì, erano appesi. 😛
Nel paese del silenzio, dove le metropolitane sono scatole di divieti e le cartacce te le devi portare a casa vige una sola regola: non disturbare.
Il sistema sociale è così normato che gli occhi delle persone vedono solo una strada: quella che li porta dal lavoro a casa.
Il Giappone è bravissimo a rimbalzare i sentimenti per trasformarli in pietanze al curry da 750 Yen.
Io e Marco siamo stati a Ikebukuro, un quartiere clone di Shinjuku.
Nonostante sia il secondo snodo ferroviario di Tokyo non ha molto senso venire da queste parti, a meno che vogliate visitare Nekobukuro, il locale dove accarezzare i gatti. (QUI un resoconto semiserio)
Perché sono venuto da queste parti?
Ero in missione per un amico.
Mentre cercavo un negozietto ho sentito in lontananza un rumore diverso dal solito sottofondo musicale.
In cuor mio ho sperato fosse Godzilla.
Che bello crepare qui, fra borsine di Hello Kitty e peluche. Il mio corpo verrà polverizzato dal piede del mostro nipponico. Di me rimarrà solo poltiglia, questo blog scritto male e qualche foto su Instagram. (QUI se volete seguirmi)
Mi sono voltato e ho visto correre un ragazzino in evidente stato confusionale. Ero sulla sua traiettoria.
Buttava per terra qualsiasi cosa: cartelloni pubblicitari, dissuasori della sosta, cartonati dei grandi magazzini. Ha preso a calci persino un palo.
Meglio stare lontanto dai giapponesi quando “gli parte la brocca”.
E adesso come mi difendo?
L’unica cosa che avevo in mano erano le 1000 mutande airsystem di Uniqlo che Marco si era comprato.
Quando ha incrociato il mio sguardo il povero pazzo ha cambiato direzione, però ha fatto cadere un altro espositore d’acciaio sopra una persona e poi è scomparso in mezzo al delirio del corso principale.
Il ragazzo colpito è rimasto un attimo a terra, poi si è rialzato con la mano dolorante.
Ogni giorno a Ikebukuro transitano 2,7 milioni di persone.
Nessuno si è fermato.
L’ho fatto io, con il mio giapponese modesto.
“Daijoubu?”
Mi ha accennato un sorriso, quasi commosso. L’asse del rigore giapponese si è piegato per un attimo. Uno spiraglio di sentimento stava per far esplodere un intero quartiere.
Poi temendo di perdere il lavoro da “urlatore” di negozio ha ripreso la sua postura e anche io sono scomparso.
“Scusa Gabriele quelli chi sono?”
“Testimoni di Geova”
“In Giappone??????”
“Potremmo suggerirgli di usare i citofoni…così i condòmini inizierebbero a conoscersi” 😛
Il Portinaio